Per il primo viaggio targato Photoexperience, si è scelta una regione dagli straordinari paesaggi e dalla bellezza unica dei suoi campi di lavanda in fiore: la Provenza. Situata nel Sud-Est della Fracia, questa località si caratterizza per la vasta campagna e i paesini medievali splendidamente conservati. Unica pecca: il tempo; tre giorni non sono sufficienti per visitare i tanti posti che meriterebbero anche semplicemente un’occhiata; abbiamo comunque cercato di fare del nostro meglio e di puntare a quanto di più caratteristico ci fosse rimanendo nello spirito di chi guarda i posti con l’occhio del turista fotoamatore.
Il periodo di inizio Luglio è il più indicato per visitare la Provenza, in quanto avviene la piena fioritura dei campi di Lavanda e il suo caratteristico colore viola risalta sul resto del paesaggio campagnolo; tali campi sono inoltre molto ordinati e i fiori creano dei corridoi regolari molto suggestivi da percorrere. Il contro è però la grande quantità di turisti che, con le stesse nostre intenzioni, affolla i campi in cerca di uno scatto suggestivo armati sia di reflex costosissime che di smartphones. Cercherò di trascrivere le sensazioni che questi luoghi hanno suscitato in me, accompagnando il tutto con alcuni degli scatti migliori (quelli che sono venuti decenti, in realtà) e qualche curiosità emersa da questa particolare esperienza francese.
Giorno 1 – Partenza e tramonti
Svegli di buon’ora si decide di anticipare la partenza, inizialmente fissata per il primo pomeriggio, alle 11 di mattina. Da veri signori, ce la prendiamo con calma. In effetti, partire senza aver fatto un paio d’ore di colazione non è certamente il caso! La speranza, in realtà, è quella di arrivare prima in Albergo, sistemarci, e correre al nostro primo impatto con i campi di lavanda già dal primo tramonto del primo giorno.
La guida del pulmino da 9 posti (senza spazio sotto i sedili per stendere le gambe, perché?? Perché?!?) è affidata al buon Matteo – della cui disponibilità approfitteremo nei giorni a seguire – mentre la guida del tour, le mete da visitare e le corse tra i campi sono a opera della presidentessa del nostro club Beatrice. La strada da percorrere non è moltissima, partendo da Pisa si percorre la Liguria nella sua interezza, fino ad approdare nelle coste francesi e da qui verso la regione che ci interessa. Nella parte iniziale del viaggio non si sono avuti grandi problemi, salvo per le tortuose curve dell’autostrada nel tratto passante per Genova; arrivati in Francia (zona dove nessuno di noi era pratico nella guida), veniamo a scoprire che per viaggiare sulle autostrade dei cugini è necessario pagare il pedaggio ogni pochi chilometri di percorrenza, magari con pochi euro; di conseguenza è stato necessario far ricorso a tutti gli spiccioli presenti nel pulmino per riuscire a proseguire. La morale è che ora siamo a conoscenza del fatto che, per viaggiare sulle autostrade francesi è opportuno svaligiare una chiesa la domenica precedente, tuttavia grazie a Paola, il severissimo navigatore dell’Iphone, siamo riusciti a divincolarci su tutte le strade che ci aspettavano. Un po’ di traffico nella parte finale ed eccoci arrivati nel tardo pomeriggio a Sainte-Tulle, paesino di poco più di tremila anime dove è situato il nostro albergo. Qui facciamo la conoscenza del primo dei nostri arci-nemici: il caldo! Un simpatica temperatura di 37-38° accompagnerà le nostre serate senza condizionatore! Comunque, il tempo di sistemarci in camera, una doccia veloce e si riparte alla ricerca dei campi di lavanda del comune di Valensole.
Bastano pochi minuti di auto e raggiungiamo le tanto attese distese di lavanda: il profumo nell’aria è decisamente intenso e ai bordi delle strade è zeppo di auto di chi, come noi, vuole tentare qualche scatto al tramonto, breve ricognizione in auto e – per farla breve – quello che ci si presenta davanti è questo (tolti giusto i 50 cinesi a giro per i campi).
Come prevedibile, i campi sono affollati dai fotografi e dai turisti; molto simpatiche le figure degli asiatici alle prese con le foto del matrimonio tra le location francesi. Abbiamo quindi avuto l’occasione di cimentarci con delle foto al tramonto, contro sole e cercando di far risaltare i colori accesi della fioritura, compito assai arduo ma non intentato. Avrei preferito avere qualche giorno di più per sentirmi più a mio agio con l’ambiente e tirar fuori qualcosa con una qualità maggiore, ma ci accontentiamo di quello che abbiamo. Anche la nostra presidente Beatrice ha deciso di farci da modella, cogliendo l’occasione per sfoggiare un look a tema provenzale. Matteo ha invece avuto occasione di far volare – vento permettendo – il drone Gianni e fare qualche ripresa dall’alto dei campi per avere ancora più prospettive.
Superata questa prima tappa della foto nei campi, stanchi dal viaggio, abbiamo optato per una visita decisamente più rilassata nel borgo di Valensole. Qui le stradine erano apparentemente deserte già verso le nove di sera e, girovagando per i vicoli che compongono la cittadina, siamo andati in cerca di un luogo in cui cenare. Al nostro passaggio (abbastanza rumoroso, bisogna ammetterlo) gli autoctoni uscivano per la strada, ci guardavano e subito richiudevano porte e finestre. Uno scenario surreale, quasi come quei film dove a una certa ora, in dei paesini apparentemente tranquilli, arriva il mostro a cibarsi degli ignari turisti. Il fatto che stiate leggendo queste righe implica che il mostro – evidentemente – non è arrivato e, semplicemente, i cittadini francesi (in generale) non sono poi così accoglienti, almeno per quanto riguarda queste zone. Scopriamo inoltre che i ristoranti e in generale i luoghi dove si può cenare, chiudono molto sul presto e oltre un certo orario rifiutano letteralmente gli eventuali clienti; detto questo, ci ritroviamo a cena in un locale dove cucinavano “tipico italiano“.
Che paura.
Decidiamo, da buoni italiani, di prendere la pizza all’estero e ci ritroviamo con delle cose tonde chiamate impropriamente “pizze”; ora, ad essere del tutto sinceri, la base era pure fatta decentemente anche se insipida, il vero problema era nelle spezie delle quali da queste parti – e credo nel resto del mondo – pensano che noi italiani abusiamo. Infatti, il tutto era coperto da una spolverata di prezzemolo, aglio, origano e via dicendo; avere tante spezie e aromi mediterranei è sicuramente un punto di forza della nostra cucina, assolutamente, ma non quando le metti tutte assieme su una pietanza per far vedere che hai un background italico. Comunque, come detto prima, se state leggendo questo articolo anche alla pizza sono sopravvissuto!
La sera in programma c’era una sessione di scatti in notturna, il gruppo tuttavia era molto stanco a causa del viaggio e dei ritmi serrati per cercare di rispettare i programmi e i giri pronosticati. In più il giorno dopo è prevista la levataccia all’alba per cercare di fotografare i campi con le prime luci del giorno, decidiamo quindi di ritornare direttamente in albergo perdendo l’opportunità di questi scatti. L’albergo presenta la solita temperatura di 35°C e una famiglia di provenienza ignota pensa bene di far scorrazzare i propri bambini per i corridoi fino all’una di notte, con sommo gaudio è presente un bidet in camera, seppur nel complesso il tutto sia abbastanza fatiscente. La prima idea è quella di dormire con la finestra aperta, ma non essendoci avvolgibili dopo pochi minuti cominciano ad entrare in stanza, nell’ordine: zanzare, api, falene, il mostro di Loch Ness, uno Cthulu e due struzzi. Ci teniamo quindi il caldo e si spera in una doccia il giorno dopo per riprenderci dalle fatiche della giornata.
Giornata pensante sicuramente, ma assai divertente e ricca di spunti.
Giorno 2 – Alba & tour
“Plìn plì plì plì plìn… plin plun plen…” la nostra simpatica sveglia suona alle 5.00 a.m.
L’uscita all’alba è facoltativa, ma una volta che mi trovo qui voglio fare tutto. Mi sveglio tra sudore e lacrime e, nella penombra cerco di farmi largo verso il bagno: l’appuntamento con gli altri è alle 5:25 dove è parcheggiato il pulmino. Vestito e pronto per uscire, mi rivolgo alla mia ragazza e le chiedo se si unisce per questa uscita super-mattiniera, in maniera molto eloquente si gira dall’altra parte e si rimette a dormire. Esco, le prime luci del mattino rendono il cielo di un ciano molto interessante, 5:23 siamo tutti a bordo e si parte per i campi visti il giorno prima. Dei 15-20 minuti di percorso ho un ricordo molto vago, entrando e uscendo selvaggiamente da una fase rem fulminea.
Eccoci ai campi! Sono le 5:45, siamo i migliori.
I più forti!
Oggi non ci rompe il cazzo nessuno e facciamo tutto quello che ci pare!
Eh no, è pieno già di cinesi, che sono li nel mezzo da un bel po’.
Siamo usciti anche in ritardo.
Non ci scoraggiamo, prendiamo armi e bagagli e ci dirigiamo in quello che ci sembra il campo più vasto e con una luce migliore. Mi piazzo accanto alla fila di fotografi già presenti da un bel pezzo sperando di non dare e che non mi dia nessuno fastidio. La luce è molto bella, mi piace, c’è l’occasione di fare scatti sia classici che panoramici, comincio a scattare con e senza cavalletto e qualche risultato apprezzabile comincia a venir fuori!
Luce soddisfacente, bei panorami, un bel fresco di prima mattina. Cosa potrebbe andare storto? Nulla, se non fosse per l’arroganza degli altri fotografi. Personalmente, come tutti i soci del club, viviamo la fotografia come una passione e cerchiamo di aiutarci e rispettare tutti quelli che sono attorno a noi che condividono questo stesso hobby. Questo non succede però al contrario, fotografi di nazionalità varia si intromettevano con arroganza nelle nostre inquadrature, ci invitavano a levarci dai cosiddetti e si piazzavano con ferocia distruggendo spesso e volentieri interi cespugli di lavanda. Ognuno è libero, assolutamente, ma se siamo tante persone a condividere questi panorami non esiste differenza di lingua, provenienza e religione, io pretendo nei miei confronti lo stesso rispetto che sto applicando nei tuoi confronti. Chiudo qui questa piccola parentesi/sfogo.
Si riparte, obiettivo la famosa Abbazia di Sènaque, una delle maggiori icone di questa regione. Si tratta di un’Abbazia cistercense consacrata nel 1178 e caratterizzata dall’essere contornata dalla lavanda. Paesaggio visto e rivisto in foto (per buona parte simili tra di loro, in verità) che merita una più attenta osservazione di persona. Dopo un po’ di strada tortuosa, la grande presenza di automobili e turisti che spuntavano da ogni dove ci fa intuire di essere arrivati alla nostra meta. Essendo luogo consacrato era indispensabile essere abbigliati con un certo decoro e – per la tristezza di Matteo – vi è divieto assoluto dell’utilizzo di droni in tutta la zona circostante l’abbazia. Tutto molto bello, si tratta di un colpo d’occhio assolutamente suggestivo, anche se comprendiamo a questo punto la similitudine tra tutte le foto che riguardano la zona: c’è un muro piuttosto alto, sul metro e mezzo circa, proprio di fronte ai campi di lavanda che contornano la parte centrale della chiesa, il che rende quasi obbligato il punto di vista fotografico; tuttavia non ci si può proprio lamentare, l’effetto è davvero suggestivo!
Ovviamente non ci si poteva accontentare di visitare esclusivamente il panorama esterno, armati delle nostre reflex ci siamo diretti anche alla biglietteria per accedere all’interno, dove erano presenti sale assai suggestive, un bellissimo chiostro e dei giochi di luce che soltanto le chiese sanno offrire al loro interno. Un po’ di lavoro in più c’è voluto per cogliere i momenti in cui fossero presenti meno turisti possibili, per cercare di offrire agli scenari la giusta sacralità derivante dal deserto al loro interno. Giornata molto luminosa e di conseguenza un chiostro dai colori molto vivi e delle finestre molto suggestive.
L’abbazia sorge a pochi chilometri dalla cittadina di Gordes, della quale sulla via del ritorno abbiamo avuto la possibilità di ammirare un bellissimo scorcio dalla collina di fronte. Di fatto, questi paesi di origine medievale, sorgono tutti arroccati per ragioni difensive e sono di conseguenza facilmente osservabili dagli altopiani adiacenti, raggruppando in poco campo ottico quasi tutte le costruzioni presenti. Sta di fatto che questo punto di osservazione è un ciglio del burrone, proprio sulla strada; fatto a gomitate con i cinesi, siamo riusciti nei nostri scatti per tornare nel pulmino e procedere all’avventura!
Lasciamo questo delizioso angolo provenzale per dirigerci verso il paese di Roussillon, borgo famoso per i suoi colori delle tonalità dell’ocra. Infatti, al suo interno è presente un piccolo “canyon” percorribile in due diversi percorsi le cui pareti sono composte da questa terra dalle forti tonalità rossicce. Il caldo faceva da padrone, ma i nostri eroi non si scoraggiano e proseguono sfruttando le fontane che compaiono sporadiche lungo il percorso per trovare un po’ di ristoro.
Il percorso è davvero suggestivo per i colori, i vestiti e le scarpe hanno purtroppo avuto la peggio, la terra infatti era finissima e tendeva a infilarsi tra i tessuti colorando pesantemente ogni cosa avessimo addosso. Questo non ci ha però tolto la soddisfazione di godere delle tonalità diverse che, per una volta, non erano quelle della lavanda vista già nei diversi campi.
A questo punto, distrutti dalla mattinata quantomai piena – ma non per questo meno soddisfatti – decidiamo di cercare un posto dove mangiare. Ci muoviamo sul presto, anche perché a pranzo, così come a cena, superato un certo orario i ristoranti ti rimbalzano. Ci si ritrova in un suggestivo locale su tre piani, costituito da terrazze che aprono sul panorama della valle. In queste amene località delle semplici insalate sembrano costare 15 euro l’una (anche se buone, bisogna ammetterlo) e la cortesia di chi serve ai tavoli è al pari del resto della cittadinanza; per nostra sfortuna capita al nostro servizio una ragazza che da subito si dimostra assai scorbutica. La facciamo definitivamente diventare nostra nemica quando, accorti che l’acqua in bottiglia da 1 litro costava 4,50 € (tanto vale bere la benzina, che si risparmia) decidiamo di cambiare il nostro ordine e farci portare l’abbeveraggio in caraffa.
Non l’avessimo mai fatto.
Oltre alle occhiatacce e a un successivo costante ritardo nel servizio, la ragazza sembrava assai annoiata di portare le vivande al nostro tavolo e non perdeva occasione di farcelo notare, sbattendo le cose sul tavolo e sbuffando durante le comande. Simpaticissimi i francesi. Un locale dove, probabilmente non posso tornare!
Inutile dire che, successivamente, la richiesta di acqua “en caraff” (detta proprio alla lettera) sarebbe diventato il tormentone del resto del viaggio.
Il post-pranzo, bisogna ammettere, è assai fiacco e il gran caldo non aiuta. L’esserci alzati la mattina alle 5 e il buon numero di giri comincia a farsi sentire sulle nostre povere ossa di fotoamatori sperduti nella Provenza. Per riprenderci decidiamo di fare una passeggiata nella grande Foresta dei Cedri di Bonnieux, luogo più fresco e ospitale dell’arida valle dell’ocra appena visitata. Di qui, vista l’enorme stanchezza, non ho molte foto, ma arrivati al punto panoramico ho deciso che valeva la pena di fare qualche scatto per immortalare la vallata. Anche se, con il nostro solito cul fortuna, c’era anche una bella foschia. Tipico di quando vai a fotografare panorami.
Da qui in poi la giornata si infiacchisce definitivamente, neppure una bibita fresca nel borgo di Bonnieux ci salva dalla stanchezza e dalla voglia di levarci di dosso tutta quella maledetta terra rossa che a comprarla in boccetta costata 5 euro, ma io nelle mutande ne portavo almeno 15 Kg e, ve lo assicuro, prude. D’accordo con gli altri viaggiatori decidiamo di ammutinarci nei confronti della guida (visto che si era anche fatta una certa ora) e di tornare in albergo per usufruire assolutamente di un bagno e non arrivare troppo tardi alla cena, visto che i ristoratori da queste parti sono abbastanza cazzillosi.
Dopo una doccia, il mondo sembrava assai più bello. Il misto di ocra, sudore e punture di insetto stava cominciando ad agire sul mio corpo, facendomi diventare geneticamente simile a un vaso di coccio, e manco di quelli buoni. Si va, in maniera rilassata, alla città di Manosque, antico borgo medievale che all’epoca – secondo la guida – faceva 10.000 abitanti, mica male per i tempi, ma che nel 2017 non offre l’occasione di mangiare se sono già scoccate le nove di sera. Dopo essere stati letteralmente “rimbalzati” da più posti, ci ritroviamo casualmente in un ristorante con la “R” maiuscola. Sì, tipo uno di quei posti dove a tutti i tavoli è accesa una candela e i tavoli sono separati da piante in via d’estinzione. Qui la cameriera (e questa era gentilissima, alla faccia della tritacazzi di Roussillon) chiede allo Chef se possiamo mangiare; con nostra somma sorpresa il tipo acconsente e ci sediamo. Ristorante di classe dove la mia tenuta composta da: scarpe da ginnastica da ben 16 euro Decathlon sporche di Ocra (avevo solo quelle dietro), jeans vecchi di un paio d’anni, maglietta anch’essa da 5 euro della Decathlon e tracolla marrone sporca, mi han fatto fare la mia porca figura all’interno del locale.
Dopo aver consultato una mezz’oretta il menù per capire cosa cacchio avremmo dovuto mangiare, ci facciamo portare le pietanze a base di pesce. E sapete che vi dico? Era tutto buono! Non sono tipo che mangia assolutamente raffinato, per me la trattoria dove ordini a suon di rutti è anche troppo, ma bisogna ammettere che le pietanze sia in sapore che in presentazione sono state all’altezza dei 40 euro a persona che gli abbiamo buttato! Inoltre la cameriera non ha fatto storie quando abbiamo chiesto l’acqua in caraffa e – udite, udite – ci riportava una nuova caraffa piena non appena svuotavamo quelle già sul tavolo. Super-servizio-top!
Ora che anche la mia persona, notoriamente fine e delicata, si è avvalsa della cucina francese, siamo potuti tornare in albergo dove il caldo ci sembrava quasi meno caldo. No, un cavolo. Faceva caldo come se fossimo all’inferno, ma in compenso non c’erano più i bambini delle stanze a fianco. Si mette la sveglia alle 7 e ci si mette a dormire, distruggo una tenda nella timida intenzione di chiuderla e finalmente poggio la testa al cuscino.
Giorno 3 – Pioggia e rientri
Svegli di buon’ora prepariamo i bagagli e andiamo a far colazione, oggi è giornata di rientri. Durante la colazione continuiamo a chiederci da che bestia derivi l’affettato presente sul tavolo, comunque i Croissant sono buoni e il succo di frutta, anche se in polvere, bello fresco. Possiamo partire belli carichi. Beh, relativamente a quanto siamo riusciti a dormire durante la notte per il gran caldo, ovviamente. La prima tappa è i lagh un mercatino ne la città di Apt dove, quando siamo passati in auto, le donne (purtroppo in maggioranza) ci hanno costretto a fermarci per comprare qualcosa di tipico; simpatico l’incontro con una dolce vecchina che vendeva biscotti e te li faceva assaggiare, devo ammettere che, pur avendo nel naso l’odore di Lavanda quasi fino alla nausea, aromatizzati a questi fiori sono molto buoni.
A nostra disposizione soltanto la mattinata per girare, partiamo quindi verso la nostra meta. Lungo la strada scorgiamo però un altra distesa di campi di Lavanda, molto più grandi di quelli visti in precedenza, accostiamo e… inizia a piovere. Sì, da questo punto di vista siamo sfigati. Non mi scoraggio e tento qualche foto, caratteristica di questo posto sono anche i campi di girasole a ridossi di quelli viola, un forte contrasto visivo che sarebbe valsa la pena fotografare in condizioni climatiche migliori, non ho voluto modificare il cielo nelle foto proprio per dare idea del tipo di clima che stavo osservando in quel momento e dei goccioloni d’acqua che cadevano. Ne approfitto anche per qualche foto alle nostre compagne di visita per i campi: le api (oltre che i calabroni, i ragni e ogni bestia possibile si annidasse tra quelle frasche).
La pioggia non ci consente purtroppo di vivere la giornata come avremmo voluto, tuttavia abbiamo l’occasione di visitare ancora i laghi, seppur in maniera panoramica. Raggiungeremo Sainte-Croix-du-Verdon, cittadina di poche anime che affaccia su un fantastico panorama del lago artificiale. Giusto il tempo di fare qualche foto al tutto che inizia a diluviare e non possiamo fare purtroppo molto di più. Il punto panoramico offre sicuramente una visuale soggettiva, ma con più tempo e un clima migliore probabilmente si sarebbe potuto scattare qualcosina di più.
Arriviamo al paese, un borgo molto bello e colorato dove, sempre a causa della pioggia, abbiamo avuto qualche difficoltà a muoverci con tranquillità per fare qualche scatto. Fatta l’ora di pranzo (che da queste parti è mezzogiorno, altrimenti digiuno), ci accomodiamo in un bel posto che affaccia sullo stesso lago, molto suggestivo. Qui comincia a buttare giù pioggia in maniera intensa e decidiamo di fermarci per pranzo; al solito continuano le nostre avventure nei ristoranti francesi. Quando abbiamo fatto presente di essere 9 persone, subito panico! Non ho ancora capito se fossimo noi fessi a girare in gruppo o se da queste parti se vai a mangiare in più di 3 persone hai bisogno della bolla papale.
Ce la caviamo anche questa volta! Ho preso un hamburger ed era pure buono.
Tento anche il caffè espresso, galvanizzato dalla recente esperienza!
Ecco, era meglio se non tentavo.
Pranzato, si è fatta già l’ora di rientrare in Italia, ci vuole qualche ora di viaggio e preferiamo arrivare a un orario decente per poterci sistemare a modo. Anche se corta e concentrata solo nella mattinata, questa giornata è stata divertente, sia per la compagnia che per la pioggia che ha un po’ condizionato i nostri spostamenti, ma che abbiamo sempre e comunque affrontato con il sorriso da chi, in fondo, si stava godendo una vacanza e non un lavoro. Rientro tranquillo, strade scorrevoli fino a Savona, dove si è beccato il traffico di chi rientrava la domenica sera. Arrivati a casa, ancora caldo ma troppo stanchi per pensarci, buonanotte!
Al prossimo viaggio!
Lascio qui, in fondo, lo spazietto per il video che realizzeranno i ragazzi di Photoexperience appena avranno un po’ di tempo anche loro.
E finalmente il video c’è (e hanno usato una mia foto di copertina)!
I commenti: personalmente mi sono divertito e mi è piaciuto osservare dei panorami e dei colori che normalmente, dove vivo, non avrei visto. Un po’ deluso dal clima nell’ultimo giorno, ma quello non possiamo certo controllarlo! Probabilmente, per visitare a modo questa regione – molto vasta – c’è bisogno di un bel po’ di tempo e condensare tutto in tre giorni è stato sicuramente necessario, ma abbiamo sicuramente mancato tanto di quanto i luoghi possono offrire. Ottima compagnia e organizzazione, un po’ meno ottima l’accoglienza dei cittadini provenzali; forse perché siamo italiani ma, tutti sembravano quasi infastiditi quando andavamo in un certo posto o ci muovevamo. Al ritorno, e solo lì, mi son reso conto che lo stare in pantaloncini corti tra i campi di lavanda non è stata poi questa grande idea: ho morsi di creature sconosciute che, a botte di cortisone, pian piano si stanno ritirando!
Nel complesso: una bella esperienza, un primo viaggio fotografico (per me e per il club) più che soddisfacente, molti spunti per far foto, tante idee e tante cose che si sarebbero volute realizzare ma che nessuno ci vieta di fare in futuro. Ci siamo divertiti, è questo l’importante!